L’elezione di Sergio Mattarella è stata l’occasione per ribadire alcuni capisaldi della concezione anarchica delle istituzioni.
Per gli anarchici, un politico o un altro che sieda sulla poltrona di presidente della repubblica, non può cambiare di molto gli assetti di potere e le politiche antiproletarie che caratterizzano i governi che si sono succeduti; del resto, se si guardano i nomi che via via sono stati proposti per la successione a Napolitano, Prodi, Amato, Martino, Imposimato, sono tutti coinvolti a vario titolo in queste politiche con ruoli di protagonista.
I politici hanno tutto l’interesse a dipingersi come demiurghi delle situazioni, intrepide guide capaci di risolvere le emergenze, grazie all’autorià di cui sono investiti. In realtà, come dice un vecchio adagio, non si entra e non si resta nella storia se non si rappresentano realtà di classe; così, attorno ad ogni leader, attorno ad ogni gruppo politico si aggrumano interessi che esprimono classi e settori della società ben precisi: studiando le posizioni e l’azione concreta delle forze politiche, è possibile scoprire i gruppi sociali che rappresentano. In questo senso i capi, lungi dal plasmare la realtà secondo le loro più o meno granitiche volontà, conservano il loro ruolo nella misura in cui esprimono, si adeguano agli interessi dei gruppi sociali.
Ecco che allora il segreto dell’evoluzione della situazione politica va ricercata all’interno della società, dei gruppi sociali che si affermano e tramontano, nel loro continuo cozzare di interessi. La distribuzione del reddito, la spartizione del profitto prodotto dalla classe operaia fra le varie frazioni della classe dominante, i vari gruppi industriali, l’alta finanza, i proprietari terrieri ed immobiliari, la gerarchia ecclesiastica, i circoli militari, la burocrazia, fino al piccolo commerciante all’angolo della strada, è il fondamento dello scontro politico, delle riforme istituzionali, dell’avvicendamento dei vari capi di Stato e di governo. Questo è l’abbicì della concezione materialista della storia, lo strumento più potente nelle mani degli sfruttati e degli oppressi per comprendere le ragioni dello sfruttamento, smascherare le menzogne dei potenti e, attraverso il rovesciamento delle ideologie soggettiviste e mistificatrici, prepararsi al sovvertimento dell’ordine economico e politico.
Il passaggio della presidenza del consiglio da Mario Monti prima, a Enrico Letta poi e a Matteo Renzi segna l’aumento del peso politico della Confindustria e, all’interno della Confindustria, dei settori più oltranzisti. Scopo del governo Renzi è lo sviluppo economico, lo sforzo spiegato per il successo dell’esposizione di Milano ci mostra quale tipo di sviluppo abbiano in mente le forze che appoggiano l’attuale Governo. Lo sviluppo di cui s parla è uno sviluppo che ruota attorno alla filiera del lusso, magari cercando anche di rifilare qualche patacca, ma insistendo sulla qualità, sull’alta qualità della produzione italiana: dalla Ferrari al parmigiano, dall’alta moda al Brunello di Montalcino, si tratta di prodotti lontani dal consumo abituale della gente comune, per non parlare di operai e disoccupati. Una produzione quindi che non mira a soddisfare le esigenze delle grandi masse, ma si rivolge ad una ristretta cerchia di privilegiati, una produzione che presuppone l’esistenza di una classe che consuma e non produce, disposta, con la scusa dell’ostentazione, di ovviare con la dissipazione all’eccesso di produzione del capitalismo.
Ecco che anche lo studio dell’avvicendarsi dei politici e dei gruppi che guidano ci indica i rapporti di forza fra i vari settori della classe dominante, e la strada che lo Stato intende percorrere: accentuare la separazione tra chi consuma senza produrre e chi produce senza poter consumare i frutti del proprio lavoro. La storia ci insegna che, quando nelle società si verifica una situazione del genere, lo sbocco, prima o poi, è la guerra: non basta il consenso per garantire il successo ad una politica del genere, occorre la violenza delle istituzioni per piegare l’opposizione sociale. Allora i governi, per distrarre dalle cause reali delle sofferenze popolari, costruiscono un nemico esterno da combattere e prima o poi la guerra minacciata si trasforma in guerra guerreggiata.
Ecco l’arcano della nomina di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica. Sicuramente si tratta di un uomo di potere, discendente da una dinastia politica spesso contigua alla mafia; non sono noti contatti con la massoneria, ma sicuramente si tratta di un uomo ben visto dal Vaticano e fedele al potere ecclesiastico; probabilmente nella scelta di non dimorare al Quirinale ha pesato il fatto che si tratta dell’ex reggia papale, usurpata dal regno d’Italia dopo la breccia di Porta Pia. Ma tutti questi temi sono supposizioni, in un modo o nell’altro sono comportamenti che confliggono con le norme o con le consuetudini, lasciano l’impressione che un capo dello Stato più formale, più onesto, più ligio ai propri doveri saprebbe risolvere tanti dei problemi dei cittadini. Occorre invece dimostrare che i politici, i governanti sono dei criminali non perché violano le norme, ma proprio perché le rispettano: il problema non è sostituire dei leaders disonesti con leaders onesti, ma distruggere quelle istituzioni che trasformano i migliori, i compagni più fidati, più combattivi, più devoti alla causa, una volta saliti lassù, in docili strumenti delle classi dominanti, in aguzzini dei loro vecchi compagni di lotta.
Ecco allora, nel caso di Mattarella, l’importanza di un episodio come quello dell’uranio impoverito, in cui Mattarella ha dimostrato di saper tutelare le istituzioni, di nascondere il marcio che gronda da ogni angolo dello Stato sotto il tappeto, di saper ignorare le richieste di giustizia, ma anche solo di informazione corretta da parte dei cittadini. E’ questo episodio marginale che dimostra come Mattarella sia il candidato ideale dei circoli militari, che hanno visto crescere il loro potere con la politica aggressiva dello Stato italiano e con l’uso dei militari in servizio di ordine pubblico. Circoli militari che ambiscono ad ampliare il proprio potere, condizionando, e saèppiamo in che direzione, la gestione dell’ordine pubblico e la politica estera dell’Italia.
Lungi dall’esaltare il ruolo dell’individuo, dell’uomo della provvidenza, la critica rivoluzionaria smaschera le forze sociali che si coagulano in questo o quel protagonista. Solo la lotta rivoluzionaria non ha bisogno di leader, non ha volto: essa riguarda tutta l’umanità.
Tiziano Antonelli